Infinito
Andrea Murru | 11 Aprile 2013Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
Riflettendo sui mali del mondo (e sui miei personali), oggi mi sono accorto di come esista una continuità inaspettata tra le piccole (grandi) cose di tutti i giorni (soprattutto i “mali”) e i grandi temi dell’esistere, dalla cosmogonia al significato dell’esistere, alla morte.
Talvolta infatti piccoli fastidi quotidiani o insoddisfazioni e problematiche personali (magari economiche) non solo affliggono il nostro esistere singolo, ma trascinano in fondo all’abisso dell’infelicità anche l’universo, la realtà tutta, nel senso che per tale infelicità e sofferenza viene ricercata una spiegazione esterna, una giustificazione assoluta e superiore.
Lo stesso fenomeno avviene anche per fenomeni “gioiosi”, anche se (sfortunatamente) è più facile trovare l’assoluto nella sofferenza che nella gioia (almeno a parole).
Ha appena senso a riguardo riflettere sul fatto che le condizioni oggettive non sono per nulla il centro del problema, visto che a condizioni oggettivamente “equivalenti” corrispondono visioni del tutto differenti (anche da parte della stessa persona!).
Al contrario considerazioni del tutto astratte e lontanissime da noi, possono in alcuni casi produrre degli effetti del tutto immanenti, molto oltre la ragionevolezza. Ad esempio anche nei bambini, la consapevolezza che la Terra e il Sole un giorno (lontanissimo, ma non ha rilevanza) finiranno è davvero inaccettabile. Talmente inaccettabile che, in molti, questa sorte di morte assoluta (della propria specie, dell’universo tutto) porta ad accettare qualsiasi altra “spiegazione” alternativa: Dio, l’anima, il paradiso, …
E sono talvolta oggetti “banali” (per Leopardi è in questo caso la siepe) a fare da tramite, come se fosse l’immanente a “spiegare” l’assoluto e viceversa l’assoluto a fornire un senso all’immanente.
Anche persone “insospettabili” subiscono in qualche misura questo meccanismo, che è forse semplicemente la capacità di astrarre legata alla ricerca di significato. In particolare non è certamente da confondersi con un fantomatico “desiderio di spiritualità”, che al massimo può rappresentare un caso particolare: certamente alcuni comportamenti “estremi” (ma anche molto diffusi) non hanno nessuna valenza religiosa. L’amore e il sacrificio dei genitori, o il sacrificio (anche estremo) per motivi sociali (ad esempio in guerra) ne sono esempi inequivocabili: gesti estremante immanenti che sono il tramite quotidiano verso l’infinito.